
5 piatti tipici piemontesi

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Il Piemonte, terra di montagne imponenti, dolci colline vitate e fertili pianure, vanta una tradizione culinaria tra le più ricche e sofisticate d’Italia. L’influenza della vicina Francia, la ricchezza di materie prime d’eccellenza – dai tartufi ai formaggi, dalle carni pregiate ai vini nobili – e una storia legata alla corte sabauda e alla vita contadina hanno plasmato una gastronomia unica, che si esprime in piatti robusti e raffinati al tempo stesso. La cucina piemontese è un inno alla lentezza, alla cura dei dettagli e alla valorizzazione dei sapori autentici.
Esplorare la tavola piemontese significa intraprendere un viaggio sensoriale che attraversa antipasti ricchi, paste fresche sapientemente lavorate e secondi piatti che esaltano la carne, il tutto accompagnato da vini che non temono confronti.
Riuscire ad elencare tutti i piatti tipici piemontesi è impossibile e, tralasciando il mitico bollito misto, ecco cinque ricette simbolo che incarnano l’anima di questa regione.
La bagna càuda
La bagna càuda è molto più di un semplice piatto: è un rito, un’esperienza conviviale che racchiude l’essenza dell’ospitalità piemontese, specialmente durante i mesi autunnali e invernali. Il suo nome, che in dialetto significa “salsa calda“, descrive perfettamente la sua natura. Si tratta di una salsa densa e fumante a base di aglio, acciughe dissalate e abbondante olio extra vergine d’oliva, vino rosso, cotta lentamente per ore, fino a che gli ingredienti non si fondono in un amalgama cremoso e aromatico.
Storicamente, era un piatto “povero” delle campagne, nato per scaldarsi nelle fredde giornate invernali e utilizzare ingredienti semplici ma saporiti. Oggi è diventata un pilastro della cucina regionale, servita in un apposito “fujòt” (un recipiente in terracotta con un fornellino sottostante che mantiene la salsa calda) al centro della tavola. Intorno al fujòt si dispongono abbondanti verdure di stagione, sia crude che cotte: cardi gobbi di Nizza Monferrato, peperoni (spesso al forno), cavolfiore, indivia, finocchi, patate bollite, barbabietole rosse e cipolle cotte. C’è chi la accompagna anche con uova sode o pezzetti di pane. L’intensità dell’aglio e il sapore deciso delle acciughe la rendono un piatto per palati forti, ma la sua complessità aromatica e la convivialità che genera la rendono indimenticabile, anche nella sua variante al latte.
Un Barbaresco giovane o un Barbera d’Asti sono abbinamenti ideali per bilanciare la ricchezza del piatto.
Agnolotti del plin
Gli agnolotti del plin sono una delle massime espressioni della pasta fresca piemontese, in particolare delle Langhe e del Monferrato. Il termine “plin“, che in dialetto significa “pizzicotto“, si riferisce al gesto sapiente e delicato con cui la pasta viene chiusa, creando piccoli scrigni ripieni, più piccoli rispetto agli agnolotti tradizionali di forma quadrata.
Il ripieno tradizionale è un concentrato di sapori intensi: un mix di carni arrosto o brasate (spesso vitello, ma anche coniglio o maiale), verdure (come spinaci o scarola), uova, Parmigiano Reggiano e spezie. La ricetta varia leggermente di famiglia in famiglia e di zona in zona, ma la base è sempre una carne cucinata a lungo, spesso con il suo sugo di cottura che verrà poi utilizzato per condire.
Gli agnolotti del plin sono solitamente serviti in pochi modi, proprio per esaltarne il ripieno e la delicatezza della pasta sottile. Al burro e salvia, un classico intramontabile, che con la sua semplicità esalta il sapore della farcitura, o con il sugo d’arrosto, il condimento per eccellenza, ottenuto dal fondo di cottura delle carni usate per il ripieno, che lega perfettamente con la pasta. C’è anche la tradizionalissima ricetta “al tovagliolo“, che prevede di cuocere gli agnolotti direttamente in una scodella con il solo brodo di cottura, asciugandoli e servendoli con un tovagliolo prima di gustarli, per apprezzarne la purezza del sapore.
Infine, durante la stagione giusta, specialmente nelle Langhe, l’abbinamento con il tartufo bianco d’Alba è un lusso sublime. Il tutto bagnato da vini come un Dolcetto d’Alba o un Barbera d’Asti, che si sposano alla perfezione con la delicatezza e la ricchezza degli agnolotti.
Vitello tonnato
Il vitello tonnato, o vitel tonnè in piemontese, è un antipasto freddo (o un secondo piatto) che sorprende per il suo accostamento audace ma incredibilmente armonioso tra terra e mare. Questo piatto, la cui origine risale al XIX secolo, testimonia la capacità della cucina piemontese di osare e di creare armonie inaspettate.
Il piatto consiste in sottilissime fette di carne di vitello (generalmente il girello, un taglio magro) cotte lentamente in brodo vegetale o vino bianco, fino a raggiungere una morbidezza estrema. La vera magia avviene con la salsa che lo ricopre. Tradizionalmente, la salsa tonnata non prevedeva l’uso di maionese, ma era un’emulsione più rustica a base di tonno sott’olio, acciughe dissalate, capperi, brodo di cottura della carne e un filo d’olio extra vergine, il tutto frullato fino a ottenere una crema liscia. Oggi, è comune trovare varianti che utilizzano la maionese come base, rendendo la salsa più vellutata e ricca.
Il piatto si serve freddo, guarnito con qualche cappero intero o ciuffetti di prezzemolo, ed è un antipasto ideale per ogni stagione, particolarmente apprezzato durante i pranzi estivi o come parte di un ricco antipasto misto piemontese. L’acidità e la sapidità della salsa contrastano magnificamente con la delicatezza del vitello, da abbinare con un calice di Roero Arneis o di Gavi, con la loro freschezza e sapidità, abbinamenti eccellenti.
Brasato al Barolo
Il brasato al Barolo è un secondo piatto sontuoso e iconico, un vero e proprio simbolo della cucina piemontese che celebra uno dei suoi prodotti più nobili: il vino Barolo. Un inno alla cottura lenta e alla trasformazione degli ingredienti attraverso il tempo.
La preparazione prevede che un taglio pregiato di carne di manzo (spesso il cappello del prete o il reale, e idealmente la Fassona Piemontese, razza autoctona dalla carne tenera e saporita) venga lasciato marinare per un lungo periodo – anche 24 ore o più – nel vino Barolo, insieme a verdure (carote, sedano, cipolle), aromi (alloro, ginepro, rosmarino) e spezie. Successivamente, la carne viene rosolata e poi brasata, ovvero cotta molto lentamente (per diverse ore) nello stesso vino della marinatura, che si riduce e si addensa, creando una salsa scura e intensamente aromatica. Il processo di cottura lenta rende la carne incredibilmente tenera, quasi da sciogliersi in bocca, e imbeve ogni fibra dei ricchi sapori del vino e degli aromi.
Il piatto è tipicamente invernale e delle grandi occasioni, perfetto per i pranzi della domenica o le festività. Viene tradizionalmente servito a fette spesse, irrorato abbondantemente con il suo sugo ristretto, spesso accompagnato da purè di patate cremoso, polenta morbida o un semplice pane croccante per intingere nella deliziosa salsa. Naturalmente, l’abbinamento d’elezione è con un buon Barolo, magari lo stesso utilizzato per la cottura, o un altro grande rosso piemontese come un Barbaresco o un Nebbiolo d’Alba.
I tajarin
I tajarin, noti anche come tagliolini piemontesi, sono una pasta fresca all’uovo che si distingue per la sua incredibile sottigliezza e il colore giallo intenso, quasi dorato. Questa colorazione è data dall’elevatissimo numero di tuorli d’uovo utilizzati nell’impasto – spesso si arriva a 30-40 tuorli per chilo di farina –, una vera e propria opulenza che ne testimonia la ricchezza.
L’origine del piatto è rurale, tipico delle cascine e delle tavole contadine, ma la loro eleganza e versatilità li hanno resi protagonisti anche delle cene e pranzi più raffinati. La loro preparazione richiede maestria e delicatezza: la pasta deve essere tirata sottilissima, quasi trasparente, e tagliata a mano in fili sottili, che una volta cotti, risultano incredibilmente leggeri e avvolgenti.
I tagliolini sono noti per la loro capacità di legare perfettamente con condimenti semplici e ricchi al tempo stesso. Le ricette più comuni, come per gli agnolotti, sono con un sugo a base di burro e salvia, d’arrosto (spesso di vitello o coniglio), o con il suddetto tartufo bianco d’Alba, generosamente grattugiato, il cui profumo inebriante si sposa divinamente con la delicatezza della pasta.
In alternativa si può condire con ragù di carne piemontese, lento e saporito, spesso a base di carni miste.
I vini migliori da abbinare sono il Nebbiolo d’Alba o un Barbera d’Alba, specialmente per le salse a base di carne.