
Bagna cauda: storia e ricetta

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Nel vasto e variegato panorama della gastronomia italiana, pochi piatti riescono a evocare con tanta forza l’idea di convivialità, calore e radici profonde come la bagna cauda. Non è semplicemente una salsa, ma un vero e proprio rituale, un simbolo dell’identità culinaria piemontese, capace di riunire attorno a sé amici e familiari, specialmente nelle serate più fredde dell’autunno e dell’inverno.
Il suo nome, che in piemontese significa “salsa calda“, ne descrive l’essenza: una preparazione avvolgente, profumata e intensamente saporita, pensata per intingervi una moltitudine di verdure fresche e cotte.
Ma la bagna cauda è molto più di una ricetta, ma un viaggio nella storia contadina, nelle tradizioni popolari regionali e nell’arte di trasformare ingredienti semplici in un’esperienza gastronomica memorabile.
Storia e origini
Le radici della bagna cauda risalgono a un passato remoto, presumibilmente di epoca medievale, se non addirittura romana. Alcuni storici della gastronomia suggeriscono un legame con il “garum” romano, una salsa di pesce fermentato molto popolare nell’antichità, che potrebbe aver influenzato le prime preparazioni. Tuttavia, la bagna cauda come la conosciamo oggi è saldamente ancorata alla tradizione contadina del Piemonte.
La sua nascita è strettamente collegata a due ingredienti apparentemente distanti ma fondamentali: l’aglio e le acciughe. Il primo era un prodotto della terra ampiamente disponibile, coltivato in abbondanza nelle campagne piemontesi e apprezzato per le sue proprietà nutritive e conservanti. Le seconde, invece, provenivano dalla Liguria e giungevano in Piemonte, attraverso le cosiddette “vie del sale“, antiche rotte commerciali, percorse da “acciugai” e “brandé” (mercanti di stoccafisso), che permettevano lo scambio di prodotti di mare con il grano e il vino piemontese. Le acciughe, essendo conservate sotto sale, rappresentavano una fonte proteica economica e accessibile, particolarmente preziosa in un’epoca in cui la carne era un lusso per pochi.
La bagna cauda nasce quindi come un piatto povero, una “merenda sinoira” (una sorta di cena-merenda che si consumava al termine del lavoro nei campi) robusta e nutriente, capace di ristorare i contadini dopo lunghe giornate di fatica. L’olio d’oliva, altro ingrediente chiave, veniva importato anch’esso dalla Liguria o da altre regioni del sud. L’idea di cuocere lentamente questi tre ingredienti insieme per creare una salsa calda e intingere verdure di stagione, sia crude che cotte, si diffuse rapidamente, diventando un pilastro della convivialità piemontese. Originariamente, la ricetta era preparata in un semplice tegame posto direttamente sul fuoco, poi trasferito al centro della tavola su un braciere per mantenerla calda, evolvendosi poi nel caratteristico “fujot” in terracotta.
La ricetta tradizionale
La bagna cauda è un inno alla semplicità degli ingredienti e alla lentezza della preparazione. La ricetta “autentica” è oggetto di dibattito tra le famiglie piemontesi, ma alcuni capisaldi sono universalmente riconosciuti.
Per prepararla per 4-6 persone, occorrono circa 5-6 teste d’aglio (che corrispondono a circa 20-30 spicchi grandi per testa, a seconda delle dimensioni), 300-400 g di acciughe sotto sale (già pulite e dissalate, equivalenti a circa 150-200 g di acciughe nette) e 300-400 ml di olio extra vergine d’oliva di buona qualità, preferibilmente leggero e fruttato. Facoltativamente, ma consigliato per una migliore digeribilità, si può utilizzare latte intero quanto basta per lessare l’aglio, o aggiungere 30-50 g di burro.
La preparazione inizia con la preparazione dell’aglio. Bisogna sbucciare tutti gli spicchi e, per renderli più digeribili e addolcire il sapore, è tradizione lessarli delicatamente nel latte intero: si mettono gli spicchi in un pentolino, si coprono con il latte e si porta a leggero bollore. Si lasciano sobbollire per circa 10-15 minuti, finché l’aglio non risulterà tenero e cremoso. Si scola l’aglio e, se si desidera, lo si schiaccia leggermente con una forchetta. Un’operazione che, come detto, riduce la forza dell’aglio, rendendo il piatto più delicato. In alternativa, si può non lessare l’aglio e tritarlo finemente a crudo, ma il sapore sarà molto più intenso.
Successivamente, si preparano le acciughe sotto sale, che vanno pulite con cura. Si sciacquano sotto acqua corrente per eliminare il sale in eccesso, poi si aprono a metà, si elimina la lisca centrale e le eventuali pinne. Si tamponano molto bene con carta assorbente per asciugarle il più possibile. Se si usano acciughe già dissalate e sott’olio, si scolano bene dall’olio di conservazione.
Il passaggio fondamentale è la cottura lenta. In un tegame di terracotta (o una casseruola dal fondo spesso) si versa l’olio extra vergine d’oliva. Si aggiungono l’aglio lessato e schiacciato (o tritato finemente se a crudo) e le acciughe pulite. Si porta il tegame su fuoco molto dolce, quasi al minimo. È fondamentale che la cottura sia lentissima e graduale, senza mai far friggere gli ingredienti. L’olio deve scaldarsi dolcemente e le acciughe devono sciogliersi lentamente, fino a formare una crema omogenea. Si utilizza un mestolo di legno per mescolare continuamente e schiacciare le acciughe contro le pareti del tegame. Questa fase può durare dai 20 ai 40 minuti, a seconda della quantità e della dolcezza dell’aglio.
Infine, ci sono le aggiunte finali, facoltative. Una volta che la bagna cauda è perfettamente emulsionata, alcuni aggiungono una noce di burro (per una maggiore rotondità di sapore) o, in alcune varianti, un cucchiaio di panna da cucina per ammorbidire ulteriormente il gusto. Si mescola fino a che non si sarà sciolto. La salsa va servita immediatamente, calda, direttamente nel “fujot” (o scaldino) posto al centro della tavola, in modo che rimanga alla giusta temperatura durante tutto il pasto.
Gli ingredienti sacri e le varianti
La triade composta da aglio, acciughe e olio extra vergine d’oliva è l’anima della bagna cauda. La qualità di questi tre elementi è determinante per il successo del piatto. L’olio, in particolare, deve essere delicato per non coprire gli altri sapori.
Le varianti della ricetta esistono e sono spesso frutto di tradizioni familiari o locali. L’aglio, come accennato, può essere lessato nel latte o sbollentato più volte cambiando l’acqua; questa tecnica è il segreto per renderlo più digeribile e mitigarne il sapore pungente, pur mantenendone il profumo. Senza questa pre-cottura, il risultato finale risulterà più aggressiva.
L’aggiunta di una piccola quantità di burro alla fine della cottura è comune in alcune aree, conferendo maggiore morbidezza e lucentezza alla salsa. Alcune ricette, specialmente in zone come il Monferrato o la Langa, prevedono l’aggiunta di noci tritate finemente per dare maggiore consistenza e un retrogusto amarognolo o, più raramente, un tocco di panna o latte a crudo alla fine per addolcire ulteriormente.
Il rituale della degustazione
La bagna cauda non è un piatto da consumare in solitudine. È un inno alla convivialità, un’occasione per stare insieme, chiacchierare e condividere un’esperienza gustativa. Tradizionalmente, come detto, viene servita nel “fujot”, piccole ciotole individuali in terracotta poste sopra un lumino (o uno scaldino elettrico) che mantiene la salsa calda per tutta la durata del pasto.
La ricetta si consuma tipicamente nei mesi più freddi, da ottobre a marzo, ed è in particolare legata alla Festa di San Martino (11 novembre), celebrando la fine dell’annata agraria e l’inizio dell’inverno. La scelta delle verdure è fondamentale per la riuscita del pasto. Si dividono in verdure crude e cotte. Tra le verdure crude si annoverano i cardi gobbi di Nizza Monferrato (considerati indispensabili), carote tenere, coste di sedano, finocchi, indivia riccia, scarola, foglie di cavolo verza, radicchio e cipolle fresche di Tropea, oltre ai peperoni crudi (rossi, gialli, verdi). Per le verdure cotte, si possono preparare patate lesse, barbabietole rosse lesse, cipolle al forno, peperoni cotti al forno, cavolfiore lesso e topinambur lessi. Non possono mancare infine uova sode, da tagliare a spicchi e intingere, e in alcune zone, fette di polenta abbrustolita o lessa, il tutto accompagnato da pane casereccio, preferibilmente il tipico “bianchino” piemontese, per pucciare fino all’ultimo.