
La pasta sarda: dai culurgiones ai malloreddus

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La Sardegna, terra di antiche tradizioni e sapori autentici, vanta un patrimonio gastronomico di inestimabile valore, dove la pasta occupa un posto d’onore.
Lontana dalle logiche della produzione industriale, la pasta sarda è il frutto di una sapienza artigianale tramandata di generazione in generazione, un mix perfetto tra gli ingredienti semplici della terra e la manualità esperta delle donne sarde.
Dai celebri malloreddus ai raffinati culurgiones, ogni formato racconta una storia, un legame indissolubile con il territorio e le sue genti.
Malloreddus: i “vitellini” della tradizione campidanese
Conosciuti al di fuori dell’isola come “gnocchetti sardi“, i malloreddus rappresentano forse il formato di pasta più iconico della Sardegna. Il loro nome, diminutivo di “malloru” (toro in sardo campidanese), significa letteralmente “vitellini“, evocando la forma panciuta e rigata che li contraddistingue. Questa denominazione affonda le radici nel mondo agro-pastorale sardo, dove il “vitellino ben pasciuto” era simbolo di prosperità e abbondanza.
L’origine dei malloreddus è antichissima e si lega indissolubilmente alla tradizione contadina dell’isola, basata sulla coltivazione del grano duro. La loro preparazione, un tempo affidata esclusivamente alle mani delle massaie, prevede un impasto semplice di semola di grano duro, acqua e un pizzico di sale. Dalle sfoglie, tagliate a listarelle, si ricavano piccoli cubetti che vengono poi schiacciati contro “su ciuliri”, un setaccio in paglia o una base in legno, per conferire la tipica rigatura. Questa lavorazione non è solo estetica: le scanalature permettono di trattenere meglio il sugo, rendendo ogni boccone un’esplosione di sapore.
Il condimento per eccellenza dei malloreddus è il celebre sugo alla campidanese, una preparazione robusta e saporita che esalta la rusticità della pasta. Gli ingredienti base sono la salsiccia sarda fresca, spesso aromatizzata al finocchietto selvatico, cipolla, passata di pomodoro e, in alcune varianti, zafferano, che conferisce un colore e un aroma inconfondibili. Il tutto viene completato da una generosa spolverata di pecorino sardo grattugiato, che aggiunge sapidità e cremosità.
I malloreddus alla campidanese sono il piatto immancabile in ogni festa, sagra o celebrazione familiare in Sardegna, simbolo di convivialità e tradizione.
Culurgiones: le “spighe” d’Ogliastra, tesori ripieni
Dai morbidi malloreddus ci spostiamo verso un’altra eccellenza della pasta sarda: i culurgiones, che hanno ottenuto il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP), a tutela della loro autenticità e del legame con il territorio d’origine.
Questi ravioli ripieni, chiamati anche culurgionis, tipici della subregione dell’Ogliastra, nella Sardegna centro-orientale, sono una vera e propria opera d’arte culinaria. La loro caratteristica più distintiva è la chiusura “a spighitta”, una meticolosa piegatura del bordo che ricorda una spiga di grano, un omaggio al ciclo del raccolto e un simbolo di buon auspicio.
L’origine dei culurgiones è legata alla cucina povera e contadina dell’Ogliastra, dove gli ingredienti erano dettati dalla disponibilità del territorio. Il ripieno tradizionale è un inno alla semplicità e al gusto autentico: patate lesse, pecorino sardo (fresco o stagionato, a seconda delle preferenze), aglio e, immancabile, la menta fresca, che dona una nota aromatica unica e rinfrescante. Alcune varianti prevedono anche l’aggiunta di scorza di limone o noce moscata.
La preparazione dei culurgiones richiede grande manualità e pazienza. La sfoglia, solitamente a base di semola di grano duro, farina 00, acqua e olio extravergine d’oliva, deve essere sottile ed elastica. Dopo aver tagliato dei dischi di pasta, si adagia al centro una porzione di ripieno e si procede con la chiusura a spiga sopracitata, un processo che trasforma il raviolo in un piccolo capolavoro di artigianato.
Tradizionalmente, questa pasta veniva preparata in occasione di particolari festività, come la festa per propiziare la raccolta del grano o la festa di Ognissanti, assumendo un significato rituale. Oggi sono apprezzati tutto l’anno e vengono solitamente conditi con un semplice sugo di pomodoro fresco e basilico, che ne esalta il ripieno senza coprirne il sapore delicato, e una spolverata di pecorino grattugiato.
Fregola: il “risotto” tipico sardo
Tra i formati di pasta sarda più tipici e versatili dell’isola, spicca la fregola (o fregula in sardo). Si tratta di piccole palline irregolari di semola di grano duro, la cui dimensione può variare da pochi millimetri a circa quattro, ottenute tramite un processo di “incocciatura” manuale o meccanica. La semola viene lavorata con acqua e, a volte, un pizzico di sale, in un grande catino, sfregandola con le mani o con un movimento rotatorio, fino a formare delle minuscole sfere. Il passaggio cruciale che conferisce alla fregola il suo sapore caratteristico e la sua texture unica è la tostatura: le palline di pasta vengono poi fatte essiccare e successivamente tostate in forno, un processo che le rende leggermente dorate, porose e in grado di assorbire magnificamente i liquidi e i sapori dei condimenti.
Tradizionalmente, la fregola trova la sua esaltazione nelle zuppe di pesce e frutti di mare, dove le sue piccole perle assorbono il brodo aromatico rilasciando un leggero retrogusto tostato che ne arricchisce il profilo gustativo. È ottima anche per “risottare” con verdure, legumi o, in alcune preparazioni più robuste, con sughi di carne, come il ragù di agnello. La sua versatilità e la sua capacità di catturare ogni aroma la rendono un ingrediente prezioso e un vero simbolo della cucina sarda, capace di trasformare un semplice piatto in un’esperienza gustativa complessa e appagante.
Lorighittas: il gioiello in tavola
Tra le paste sarde più belle e laboriose, i lorighittas rappresentano un vero e proprio gioiello di artigianato culinario, originari del piccolo borgo di Morgongiori, nel cuore della Sardegna. Il loro nome deriva dal sardo “loriga“, che significa “anello” o “orecchino“, richiamando la loro forma caratteristica: anelli di pasta sottile, intrecciati a mano con una maestria che si tramanda di generazione in generazione, la cui preparazione è un rito che richiede grande pazienza, precisione e una manualità eccezionale.
L’impasto, a base di semola di grano duro e acqua, viene lavorato a lungo fino a ottenere dei fili sottili che vengono poi abilmente avvolti attorno a due dita e intrecciati per formare gli anelli. Questa tecnica complessa rende i lorighittas una pasta unica, dalla consistenza elastica e tenace che si presta perfettamente a trattenere i sughi. Tradizionalmente venivano preparati in occasione della festa di Ognissanti, assumendo un significato quasi sacro.
Oggi, sono un simbolo dell’eccellenza gastronomica sarda e vengono solitamente conditi con sughi a base di carne, come il ragù di pollo ruspante o di cinghiale, o anche con un semplice sugo di pomodoro fresco e basilico, che ne esalta la forma e la consistenza senza sovrastarne il sapore delicato. Sono una testimonianza vivente di come la pasta in Sardegna sia molto più di un semplice alimento, ma un’espressione profonda di cultura, storia e dedizione.