
Pane carasau: storia, caratteristiche e ricette

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Il pane carasau, conosciuto anche come “carta da musica” per il suo suono caratteristico quando viene spezzato o masticato, è molto più di un semplice pane: è un’icona della Sardegna, un testimone silenzioso di secoli di storia, cultura pastorale e tradizioni tramandate, che non può mancare in un itinerario gastronomico locale.
La sua croccantezza inconfondibile, la sua sottigliezza quasi impalpabile e la sua lunga conservabilità lo hanno reso un alimento fondamentale per i pastori e un simbolo della gastronomia isolana, apprezzato e riconosciuto ben oltre i confini regionali.
Dalle origini pastorali alla fama internazionale: la storia del pane carasau
L’origine del pane carasau affonda le sue radici nella necessità e nell’ingegno delle antiche comunità pastorali sarde, in particolare quelle della Barbagia, nel cuore montuoso dell’isola. Per i pastori che trascorrevano lunghi mesi lontani da casa, seguendo le greggi nella transumanza, era indispensabile disporre di un alimento nutriente, leggero da trasportare e soprattutto a lunga conservazione.
Il pane fresco, con la sua rapida deperibilità, non era un’opzione. Fu così che, attraverso tentativi e perfezionamenti, nacque il carasau, un pane biscottato capace di mantenersi inalterato per mesi, se non per anni, se conservato correttamente.
Il termine “carasau” deriva dal verbo sardo “carasare“, che significa “tostare” o “biscottare“, riferendosi proprio all’ultima fase del suo processo di produzione. La sua antica preparazione era un vero e proprio rito collettivo, un momento sociale che vedeva coinvolte le donne del vicinato, che si radunavano attorno al forno a legna per un’intera giornata di lavoro. L’accensione del forno, la preparazione dell’impasto, la stesura delle sfoglie e la doppia cottura erano gesti che si ripetevano con precisione quasi sacrale, accompagnati da canti e racconti, in un’atmosfera di condivisione e fatica comune. Questa tradizione ha contribuito a elevare il pane carasau da semplice alimento a patrimonio culturale, un simbolo di identità e resilienza per il popolo sardo. Sebbene non abbia ancora un riconoscimento UNESCO ufficiale come patrimonio immateriale, la sua importanza culturale è ampiamente riconosciuta.
Gli ingredienti del pane carasau
Il pane carasau si distingue per la sua straordinaria semplicità di ingredienti, che contrastano con la complessità del suo processo di lavorazione. Gli elementi base sono pochi ma essenziali.
La semola rimacinata di grano duro l’ingrediente principale, che conferisce al pane la sua struttura e la tipica colorazione dorata. La materia prima, derivata da grani sardi, è fondamentale per l’elasticità dell’impasto e la riuscita delle sfoglie sottili.
Ovviamente non può mancare l’acqua, l’elemento legante, dosato con sapienza per ottenere l’impasto perfetto, e il sale, per esaltare il sapore.
Infine, il lievito di birra (o lievito madre) che permette al pane di gonfiarsi durante la prima cottura.
Come preparare il pane carasau
La magia del Pane Carasau, come detto in precedenza, risiede nella sua doppia cottura, il passaggio chiave che gli conferisce la croccantezza e la capacità di lunga conservazione. Il processo tradizionale prevede diverse fasi
Si parte con il pesare e l’orire (o sestare). Dopo aver impastato gli ingredienti a lungo, l’impasto viene lasciato lievitare in recipienti. Successivamente, viene suddiviso in piccole porzioni rotonde (i panetti) e lasciato riposare per una seconda lievitazione.
Si passa poi all’illadare, con i panetti che vengono stesi con il mattarello su una spianatoia, con grande perizia, fino a ottenere dischi sottilissimi, quasi trasparenti, chiamati “sas tundas“. È questa la fase che richiede maggiore abilità e manualità.
Arriviamo quindi alla fase di kokere (prima cottura): i dischi sottili vengono infornati nel forno a legna ad altissima temperatura (tradizionalmente 450-500°C). Il calore intenso fa sì che il pane si gonfi come un pallone, formando una sacca d’aria al suo interno. Questo è il momento più delicato e spettacolare della preparazione.
Il disco gonfio viene estratto rapidamente dal forno e, ancora caldo, viene diviso in due sfoglie sottilissime usando un coltello affilato. Questa operazione, detta “sa calada“, richiede velocità e precisione per evitare che il pane si raffreddi e si rompa.
Concludiamo infine con il carasare (seconda cottura/tostatura). Le due sfoglie così ottenute vengono rimesse in forno a una temperatura più bassa (circa 180°C) per la tostatura finale. Questa fase, da cui deriva il nome “carasau“, ha lo scopo di eliminare ogni residuo di umidità, rendendo il pane estremamente croccante e friabile, pronto per una lunga conservazione.
Il risultato è una sfoglia sottile, leggera, friabile e dal colore dorato, con una superficie leggermente ruvida. La sua leggerezza e la sua capacità di conservazione lo rendono un alimento ideale non solo per i pastori, ma anche per chi cerca un’alternativa salutare e versatile al pane tradizionale, essendo povero di grassi e ricco di carboidrati complessi e fibre.
Ricette e abbinamenti
La versatilità del pane carasau è sorprendente e lo rende adatto a molteplici preparazioni, sia dolci che salate, trasformandolo da semplice accompagnamento a protagonista del piatto.
Ovviamente può essere gustato al naturale, il modo più semplice per apprezzarne la croccantezza e il sapore delicato. Perfetto come sostituto del pane fresco, accompagna egregiamente salumi, formaggi (in particolare il pecorino sardo, sia fresco che stagionato), olive e paté.
Forse la variante più celebre e amata è il pane guttiau. Il pane carasau viene leggermente inumidito, condito con olio extravergine d’oliva e un pizzico di sale, e poi ripassato in forno per pochi minuti fino a che l’olio non viene assorbito e diventa ancora più fragrante e saporito. Spesso viene arricchito anche con origano o rosmarino, diventando uno snack irresistibile o un perfetto antipasto.
Una delle ricette più iconiche e gustose è il pane frattau, una sorta di “lasagna sarda“. Le sfoglie di Pane Carasau vengono inumidite nel brodo (di carne o vegetale) e disposte a strati, alternando con sugo di pomodoro fresco, abbondante pecorino sardo grattugiato e, come tocco finale, un uovo in camicia adagiato sull’ultimo strato. È un piatto ricco e confortante, che racchiude i sapori autentici della tradizione.
Nonostante il nome, la zuppa gallurese (o Suppa Cuata) non è una vera zuppa ma un piatto unico stratificato, tipico della Gallura e ha come protagonista ovviamente il carasau. Le sfoglie di pane vengono inzuppate in brodo di carne e disposte a strati con formaggio (pecorino e formaggio vaccino fresco) e, talvolta, un sugo leggero. Viene poi infornata fino a gratinatura, creando un piatto morbido e saporito.
Il pane carasau può anche essere utilizzato come base per involtini e rollè. Una volta leggermente inumidito, diventa malleabile e può essere arrotolato e farcito con formaggi spalmabili, verdure grigliate, salumi, o anche ricotta e miele per una versione dolce.
Spezzettato o tagliato a fette, può essere anche servito per bruschette originali o come chips da intingere in salse e creme, mentre la sua consistenza inconfondibile può rappresentare la parte croccante per arricchire insalate miste.